Il Tartaro

Che cos’è il tartaro?
Il tartaro è un insieme di sedimenti minerali formato dall’80% di sali inorganici e dal restante 20% di altre sostanze.

Questi depositi si annidano intorno al dente è costituisce la mineralizzazione della placca batterica, una specie di pellicola dalla consistenza appiccicosa composta di cellule morte, batteri e residui alimentari che si deposita sui denti. Se la placca non è asportata attraverso una corretta igiene orale quotidiana, incomincia a calcificare e in breve tempo si trasforma in tartaro. Il suo potere di adesione è talmente forte da renderlo irremovibile con il normale spazzolino e solo l’intervento dal dentista o dall’igienista dentale ne consente la totale rimozione.

Il tartaro solitamente ha un colorito giallognolo e questa colorazione dipende dalle sostanze con le quali entra a contatto; il fumo di sigaretta ad esempio tende a renderlo più scuro procurando non solo un grave danno estetico ma anche in termini di salute.

Il tipo più pericoloso di tartaro, tuttavia, non è quello che si deposita sulla superficie esterna dei denti ma quello che s’insinua nella gengiva e nelle tasche parodontali. E’ proprio quest’ultima la tipologia più rischiosa perché associata a malattie gengivali e dentali come, ad esempio, la parodontite.

 

Come si forma il tartaro?
Durante i pasti i residui di cibo che restano nel cavo orale vengono aggrediti dai batteri; in particolare, sulla superficie dentale si sedimenta una patina sottile incolore formata dall’insieme di residui alimentari e batteri.

Se tale patina non è rimossa completamente con le comuni operazioni di igiene orale, in circa 12-18 ore si calcifica producendo i primi depositi di tartaro.

La placca, infatti, è in grado di aggregarsi ai fosfati e ai sali calcarei presenti nella saliva formando una sostanza dura e particolarmente adesiva.

Il pH della saliva e la sua composizione chimica sono dunque due dei fattori principali che predispongono le persone al tartaro dentale. Non a caso, infatti, i più grossi depositi di tartaro si trovano proprio in corrispondenza delle ghiandole salivari situate sulla superficie linguale degli incisivi inferiori e su quella vestibolare dei molari superiori.

Per fare un esempio pratico, potremmo paragonare il tartaro alle incrostazioni che restano attaccate alle pentole dopo la cottura. Se queste si mettono subito in lavastoviglie, l’azione pulente dell’acqua ad alta pressione (lo “spazzolino) unita a quella del detersivo riesce ad asportare in modo efficacie i residui di cibo (placca batterica). Diversamente, se le pentole non vengono lavate per tanto tempo, le incrostazioni si solidificano rendendo inutile l’azione sgrassante della lavastoviglie. Solo lavandole a mano (la “pulizia dentale”) con particolari spugne (gli “strumenti del dentista”) i tegami potranno tornare a risplendere.

 

Patologie dentali connesse al tartaro: la parodontite
Come abbiamo visto in precedenza, il tartaro si può depositare soltanto sulla superficie esterna dei denti oppure, nei casi più gravi, arrivare fino all’interno della gengiva e delle tasche parodontali (quel piccolissimo spazio presente tra denti e gengive) innescando quella che in medicina viene chiamata “parodontite”.

I batteri che s’insinuano nel tartaro o nella placca dentale producono dei sedimenti che compromettono il tessuto gengivale. La gengiva risponde alla minaccia degli agenti patogeni gonfiandosi e lentamente tende a distaccarsi sempre più dal dente, facendo crescere il solco gengivale al punto tale da creare una vera e propria tasca in cui possono circolare liberamente gli oltre 400 tipi di batteri che abitano il cavo orale.

Alcuni microrganismi riescono a vivere anche senza ossigeno iniziano e proprio per questo riescono a raggiungere l’interno della tasca paradontale danneggiando seriamente le strutture di sostegno del dente.

La malattia in genere è caratterizzata da sanguinamento gengivale, una maggiore mobilità dentale, dolore diffuso e dalla definitiva caduta del dente (nei casi più gravi). Talvolta l’infezione può arrivare al circolo sanguigno attaccando anche altri organi o tessuti.

 

Come si può prevenire la formazione del tartaro?
Sarebbe sufficiente riflettere per un attimo ai potenziali danni economici, estetici e psicologici provocati da una perdita dei denti prematura, per capire subito quanto sia fondamentale il ruolo della prevenzione.

Oltre ad un accurato intervento di pulizia quotidiana, è preferibile fare delle visite di controllo periodiche con scadenza semestrale o annuale (in base alla predisposizione soggettiva alla formazione del tartaro).

 

Come si può eliminare il tartaro già formato?
La rimozione del tartaro (detta anche “detartrasi”) è eseguita sia manualmente sia attraverso l’innovativa tecnica degli ultrasuoni. A quest’operazione solitamente è associata la lucidatura dei denti che contribuisce a diminuire il rischio d’infiammazioni gengivali. In genere si consiglia di sottoporsi alla detrartasi una volta ogni 6-18 mesi circa (in base alla velocità impiegata dal tartaro per depositarsi).